Molti ricorderanno che già nell’anno 2011 la FLP/FILP aveva denunciato il primato negativo dell’Italia in materia di stipendi dei lavoratori dipendenti (e tra questi, quelli dei lavoratori pubblici) che sono di gran lunga i più bassi in Europa, insieme a quelli di Malta, Slovenia, Slovacchia e Portogallo.
E’ stata lanciata così una forte campagna di mobilitazione tra i lavoratori, sostenendo il principio per cui la crisi economica non deve e non può rappresentare l’alibi per mettere in discussione il valore dei Contratti Nazionali di Lavoro e sacrificare il potere d’acquisto dei dipendenti.
Per questo la FILP, anche per mandare un forte segnale alle forze politiche e alle istituzioni, ha proposto l’iniziativa “un euro per fare giustizia” non solo contro il blocco degli stipendi, e l’impossibilità di ogni eventuale futuro recupero delle somme perse, ma anche contro il blocco dell’intero meccanismo contrattuale che implica conseguenze anche dal punto di vista giuridico.
E’ noto che Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza depositata il 27 novembre 2013, accogliendo le tesi della FILP/FLP, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni di legge che dispongono il blocco dei contratti dei dipendenti della pubblica amministrazione.
La sentenza n. 178 del 24 giugno – 23 luglio 2015 della Corte Costituzionale – che pubblichiamo – pur non essendo completamente satisfattiva delle nostre richieste, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che avevano disposto il blocco della contrattazione collettiva nel pubblico impiego ed ha comunque affermato il principio che non può essere richiesto un sacrificio economico ad libitum ai dipendenti della pubblica amministrazione.
Tuttavia, proprio perché non ha affermato in maniera netta la sussistenza del danno arrecato ai dipendenti pubblici, anche la sentenza della Corte Costituzionale n. 178/2015 verrà posta, con l’odierna iniziativa, all’attenzione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
http://www.cortecostituzionale.it/actionPronuncia.do
N. 178 SENTENZA 24 giugno – 23 luglio 2015
Giudizio di legittimita’ costituzionale in via incidentale.
Impiego pubblico – Sospensione delle procedure contrattuali e
negoziali, nonche’ delle ordinarie dinamiche retributive per gli
anni 2010-2014.
– Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitivita’ economica) –
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30
luglio 2010, n. 122 – art. 9, commi 1, 2-bis, 17, primo periodo, e
21, ultimo periodo; decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98
(Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria) –
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15
luglio 2011, n. 111 – art. 16, comma 1, lettere b) e c).
–
(GU n.30 del 29-7-2015)
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Alessandro CRISCUOLO;
Giudici :Paolo Maria NAPOLITANO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo
CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo’ ZANON,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita’ costituzionale dell’art. 9, commi 1,
2-bis, 17, primo periodo, e 21, ultimo periodo, del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitivita’ economica), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n.
122 e dell’art. 16, comma 1, lettere b) e c) del decreto-legge 6
luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,
della legge 15 luglio 2011, n. 111, promossi dal Tribunale ordinario
di Roma con ordinanza del 27 novembre 2013 e dal Tribunale ordinario
di Ravenna con ordinanza del 1° marzo 2014, rispettivamente iscritte
ai nn. 76 e 125 del registro ordinanze 2014 e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 22 e 35, prima serie
speciale, dell’anno 2014.
Visti gli atti di costituzione di FLP – Federazione lavoratori
pubblici e funzioni pubbliche ed altra, di Nardini Graziella ed
altri, nonche’ gli atti di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri e della Federazione GILDA-UNAMS, della CONFEDIR –
Confederazione autonoma dei dirigenti, quadri e direttivi della
pubblica amministrazione e della CSE – Confederazione indipendente
sindacati europei;
udito nell’udienza pubblica del 23 giugno 2015 il Giudice
relatore Silvana Sciarra;
uditi gli avvocati Tommaso De Grandis per la Federazione
GILDA-UNAMS, Sergio Galleano per la CONFEDIR – Confederazione
autonoma dei dirigenti, quadri e direttivi della pubblica
amministrazione, Michele Lioi per la CSE – Confederazione
indipendente sindacati europei, Michele Lioi, Stefano Viti e Michele
Mirenghi per la FLP – Federazione lavoratori pubblici e funzioni
pubbliche ed altra, Pasquale Lattari per Nardini Graziella ed altri e
l’avvocato dello Stato Vincenzo Rago per il Presidente del Consiglio
dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del
lavoro, con ordinanza depositata il 27 novembre 2013 e iscritta al n.
76 del registro ordinanze 2014, ha sollevato questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 9, commi 1 e 17, primo periodo,
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitivita’ economica),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30
luglio 2010, n. 122, e dell’art. 16, comma 1, del decreto-legge 6
luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,
della legge 15 luglio 2011, n. 111, prospettando la violazione degli
artt. 2, 3, primo comma, 35, primo comma, 36, primo comma, 39, primo
comma, e 53 della Costituzione.
1.1.- Il giudice rimettente espone di dover esaminare i ricorsi
presentati il 26 ottobre 2012 dalla Federazione lavoratori pubblici e
funzioni pubbliche (FLP) e dalla Federazione italiana autonoma
lavoratori pubblici (FIALP), in qualita’ di firmatarie dei contratti
collettivi stipulati con l’Agenzia per la rappresentanza negoziale
delle pubbliche amministrazioni (ARAN) per il personale della
Presidenza del Consiglio dei ministri e del comparto ministeri e per
il personale degli enti pubblici non economici.
I sindacati ricorrenti nel giudizio principale hanno chiesto di
accertare il diritto a dar corso alle procedure contrattuali e
negoziali, relative al triennio 2010-2012, per il personale di cui
all’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
(Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche) e di condannare l’ARAN ad avviare le
trattative per il rinnovo dei contratti, deducendo, a sostegno di
tali domande, l’illegittimita’ costituzionale della normativa che
“congela” i trattamenti economici percepiti dai dipendenti e “blocca”
la contrattazione collettiva «con possibilita’ di proroga anche per
l’anno 2014».
Nel giudizio principale, si e’ costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, per contestare la fondatezza del ricorso,
l’ammissibilita’ della questione di legittimita’ costituzionale, per
carenza del requisito dell’incidentalita’, nonche’ per contestare la
sussistenza dei dedotti profili di contrasto con i parametri
costituzionali evocati.
Il giudice rimettente ha disatteso le eccezioni pregiudiziali,
mosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, e ha ritenuto che
risulti soddisfatto il requisito dell’incidentalita’.
L’esame della questione di legittimita’ costituzionale, invero,
rappresenterebbe l’antecedente ineludibile per giungere
all’accertamento del diritto (art. 39, primo comma, Cost.), invocato
dalla parte ricorrente. Tali considerazioni confermerebbero la
rilevanza della questione, poiche’ il diritto della parte ricorrente
ad avviare la contrattazione con riferimento al periodo 2010-2012
discenderebbe dal vaglio di costituzionalita’ della norma in esame.
Con riguardo alla non manifesta infondatezza delle questioni di
legittimita’ costituzionale, il giudice rimettente argomenta che la
sospensione della contrattazione collettiva determina una
interruzione delle procedure negoziali che si propongono di garantire
la proporzionalita’ tra il lavoro prestato e la retribuzione dovuta.
La sospensione della contrattazione sui trattamenti retributivi
fino al 31 dicembre 2014 si accompagna all’impossibilita’ di
qualsivoglia recupero, se solo si considera che, indipendentemente
dalle ragioni poste a base della decretazione d’urgenza, si riscontra
un prolungamento dei limiti posti all’autonomia collettiva.
Tali limiti confliggerebbero con il dettato degli artt. 35, primo
comma, 36, primo comma, e 39, primo comma, Cost.
Le disposizioni censurate, inoltre, si porrebbero in contrasto
con l’art. 3, primo comma, Cost., anche in relazione all’art. 2 Cost.
Le misure di risanamento sarebbero, infatti, destinate a
ripercuotersi sulle retribuzioni dei soli pubblici dipendenti, cosi’
violando il principio di eguaglianza tra i cittadini e il dovere di
solidarieta’ politica, sociale ed economica di cui agli artt. 3,
primo comma, e 2 Cost.
Tale dovere di solidarieta’, difatti, non potrebbe non gravare
sull’intera comunita’.
Il giudice a quo osserva che la sospensione delle procedure
contrattuali riguardanti gli incrementi retributivi, protraendosi
fino al 31 dicembre 2014, con esclusione di ogni possibilita’ di
recupero e di ogni adeguamento dell’indennita’ di vacanza
contrattuale, interrompe la dinamica retributiva, senza presentare
quei caratteri di eccezionalita’ e di temporaneita’ che la Corte
costituzionale ha ritenuto imprescindibili nel vagliare analoghe
misure di contenimento della spesa pubblica.
1.2.- Sono intervenute nel giudizio le organizzazioni sindacali
FLP e FIALP, chiedendo l’accoglimento della questione di legittimita’
costituzionale e lamentando, in particolare, l’irragionevole
sacrificio dell’autonomia collettiva, costituzionalmente garantita ed
espressione del principio democratico e partecipativo che permea la
Carta costituzionale.
I sindacati intervenuti si dolgono del fatto che il legislatore
abbia inibito del tutto alle organizzazioni sindacali la liberta’ di
modulare la contrattazione nella materia retributiva, alla luce della
situazione economica generale, cosi’ da impedire la ricerca di
soluzioni volte a non far gravare i sacrifici sui lavoratori piu’
deboli.
A questa stregua, finanche i contratti collettivi dal contenuto
prettamente normativo, che non incidono sulla spesa pubblica,
sarebbero stati arbitrariamente preclusi.
La disciplina, destinata a penalizzare in misura esorbitante il
lavoro pubblico, sarebbe discriminatoria rispetto a quella
applicabile al settore privato, non coinvolto da alcuna misura di
contenimento delle retribuzioni, e lo sarebbe anche rispetto a quella
che concerne il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia
e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che beneficerebbe di
assegni una tantum nel corso del triennio di blocco degli adeguamenti
retributivi.
1.3.- Nel giudizio e’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, che ha chiesto di dichiarare l’infondatezza della questione.
Il blocco delle retribuzioni sarebbe legittimo, in quanto
circoscritto ad un periodo contenuto, in concomitanza con una
situazione eccezionale di emergenza economica e finanziaria, e
risponderebbe all’obiettivo di rispettare l’equilibrio di bilancio
(art. 81 Cost.) adottando politiche proiettate in un periodo che
necessariamente travalica l’anno.
La difesa dello Stato rileva che il giudice rimettente censura la
violazione dell’art. 53 Cost. soltanto nella parte dispositiva. Tale
censura, oltretutto, sarebbe carente di fondamento, in quanto
difetterebbero gli elementi caratteristici del prelievo tributario.
Quanto al merito della questione e all’adombrata violazione
dell’art. 39, primo comma, Cost., l’Avvocatura generale dello Stato
ribatte che non ha alcuna ragion d’essere una contrattazione
collettiva che non possa approdare ad un risultato utile per le parti
rappresentate.
La difesa dello Stato esclude che vi siano illegittime disparita’
di trattamento tra lavoratori privati e lavoratori alle dipendenze
delle pubbliche amministrazioni, in considerazione delle difformita’
delle fattispecie comparate.
1.4.- Nel giudizio e’ intervenuta la Federazione GILDA-UNAMS, che
asserisce di essere legittimata ad intervenire, in quanto portatrice
di una posizione giuridica suscettibile di essere pregiudicata
dall’esito del giudizio di legittimita’ costituzionale.
L’art. 64, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 offrirebbe un
argomento a favore dell’ammissibilita’ dell’intervento, in quanto
accorderebbe alle organizzazioni sindacali firmatarie dei contratti
collettivi la facolta’ di intervenire nel giudizio anche oltre il
termine previsto dall’art. 419 del codice di procedura civile.
La Federazione, qualificandosi come firmataria dell’ultimo
contratto di lavoro del 27 novembre 2007 e come organizzazione
sindacale maggiormente rappresentativa del personale del comparto
scuola, ha chiesto, in prima battuta, la rimessione della questione
alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267,
comma 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE),
in quanto la disciplina impugnata violerebbe la direttiva 11 marzo
2002, n. 2002/14/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio, che istituisce un quadro generale relativo
all’informazione e alla consultazione dei lavoratori).
La normativa, inoltre, contravverrebbe alla Carta sociale europea
(art. 6, sul diritto di negoziazione collettiva), riveduta, con
annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa
esecutiva con legge 9 febbraio 1999, n. 30, e agli artt. 27 e 28
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata
a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre
2007, che tutelano, rispettivamente, il diritto dei lavoratori
all’informazione e alla consultazione nell’ambito dell’impresa e il
diritto di negoziazione e di azioni collettive.
La Federazione ha chiesto l’accoglimento della questione di
legittimita’ costituzionale, rilevando che e’ affidata all’autonomia
collettiva, sacrificata dalle disposizioni impugnate, la garanzia del
rispetto del principio di proporzionalita’ tra il lavoro svolto e la
retribuzione e che, alla luce della giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell’uomo (sentenza 7 giugno 2011, Agrati e altri
contro Italia), il credito del lavoratore si configura come
proprieta’, tutelata anche ai sensi dell’art. 1 Primo Protocollo
addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle liberta’ fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955,
n. 848.
La norma impugnata istituirebbe, in spregio all’art. 53 Cost., un
prelievo tributario e pregiudicherebbe il diritto dei lavoratori a
percepire una retribuzione proporzionata alla quantita’ e alla
qualita’ del lavoro svolto, violando, inoltre, i principi di
affidamento, di buona fede e di eguaglianza sostanziale.
1.5.- Nel giudizio e’ intervenuta la Confederazione indipendente
sindacati europei (CSE), insistendo per l’accoglimento della
questione di legittimita’ costituzionale.
La CSE asserisce di vantare un interesse qualificato, inerente al
rapporto sostanziale e idoneo a giustificare l’ammissibilita’
dell’intervento, poiche’ avrebbe sottoscritto, unitamente alla FLP,
ricorrente nel giudizio principale, il contratto collettivo nazionale
di lavoro relativo al personale della Presidenza del Consiglio dei
ministri per il biennio economico 2006-2007 e il contratto
collettivo, riguardante il medesimo comparto, per il biennio
economico 2008-2009.
Da tale status discenderebbe l’interesse qualificato a
intervenire nel giudizio di costituzionalita’, poiche’ le
disposizioni impugnate lederebbero l’esercizio delle prerogative
negoziali della Confederazione.
La Confederazione in parola, quanto al merito delle questioni, ha
rilevato che le norme censurate arrestano per un quadriennio la
dinamica salariale e comprimono, per lo stesso considerevole arco di
tempo, l’autonomia collettiva, tutelata dall’art. 39, primo comma,
Cost. e dalle fonti sovranazionali.
Fra tali fonti sovranazionali, la Confederazione menziona l’art.
6 della Carta sociale europea, l’art. 28 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, l’art. 152 del TFUE, gli artt. 11,
12, 13 e 14 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali
dei lavoratori, adottata a Strasburgo il 9 dicembre 1989, la
Convenzione n. 151 dell’Organizzazione internazionale del lavoro
(OIL), relativa alla protezione del diritto di organizzazione e alle
procedure per la determinazione delle condizioni di impiego nella
funzione pubblica, adottata a Ginevra il 27 giugno 1978 nel corso
della 64ª sessione della Conferenza generale, ratificata e resa
esecutiva con legge 19 novembre 1984, n. 862.
La parte intervenuta osserva che, secondo la giurisprudenza
costituzionale, la mancata attuazione dell’art. 39, secondo comma,
Cost. non dovrebbe giustificare alcun impedimento alla liberta’
d’azione dei sindacati e al potere di stipulare contratti, seppure
vincolanti soltanto per gli iscritti.
La Confederazione soggiunge che le uniche limitazioni ammesse
dovrebbero essere eccezionali, transitorie, non arbitrarie,
consentanee con lo scopo prefisso.
Nel caso di specie, per contro, l’intervento legislativo,
discriminatorio rispetto ai lavoratori pubblici e immemore del canone
di ragionevolezza, avrebbe «annichilito» la liberta’ sindacale.
1.6.- Nel giudizio e’ intervenuta anche la Confederazione
autonoma dei dirigenti, quadri e direttivi della pubblica
amministrazione (CONFEDIR), rivendicando, a sostegno
dell’ammissibilita’ dell’intervento, un ruolo primario di
rappresentanza delle aree dirigenziali, leso dalle norme censurate e
idoneo a giustificare la partecipazione al giudizio di
costituzionalita’ di una organizzazione, firmataria degli accordi del
1993, del 1998, del 2009 e chiamata, in particolare, a partecipare a
tutti i tavoli di contrattazione relativi alle aree dirigenziali II,
III, IV.
La CONFEDIR sollecita la rimessione della questione, anche
d’ufficio, alla Corte di giustizia dell’Unione europea, individuando
una violazione della direttiva n. 2002/14/CE sull’informazione e
sulla consultazione dei lavoratori.
Essa denuncia, inoltre, la violazione degli artt. 5 e 6 della
Carta sociale europea, che tutelano, rispettivamente, i diritti
sindacali e il diritto di negoziazione collettiva, la violazione
degli artt. 27 e 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea, che attengono al diritto dei lavoratori all’informazione e
alla consultazione nell’ambito dell’impresa e al diritto di
negoziazione e di azioni collettive, il contrasto inconciliabile
delle norme impugnate con la Convenzione OIL n. 87, firmata a San
Francisco il 17 giugno 1948, concernente la liberta’ sindacale e la
protezione del diritto sindacale, e con la Convenzione OIL n. 98,
firmata a Ginevra l’8 giugno 1949, concernente l’applicazione dei
Principi del diritto di organizzazione e di negoziazione collettiva,
entrambe ratificate e rese esecutive con legge 23 marzo 1958, n. 367.
1.7.- In prossimita’ dell’udienza, la difesa dello Stato ha
depositato una memoria illustrativa, che ribadisce le argomentazioni
gia’ svolte.
La difesa dello Stato ha imputato ai giudici rimettenti di non
avere esplorato la possibilita’ di un’interpretazione
costituzionalmente orientata, di non avere offerto argomentazioni
convincenti in merito alla rilevanza, trascurando, inoltre, lo stato
di emergenza, in cui le misure si collocano.
Cosi’ inquadrata, la normativa impugnata andrebbe esente dalle
censure di violazione degli artt. 2 e 3, primo comma, Cost.
Essa non avrebbe natura tributaria, perseguirebbe l’obiettivo di
razionalizzare e contenere la spesa pubblica, in un’ottica di
programmazione di bilancio necessariamente pluriennale, e si
limiterebbe a imporre un contributo equamente distribuito tra tutte
le componenti dell’apparato pubblico, senza arrecare alcun vulnus al
principio di proporzionalita’ della retribuzione al lavoro svolto.
Neppure le doglianze sulla violazione dell’art. 39, primo comma,
Cost. coglierebbero nel segno, giacche’ la contrattazione collettiva
avrebbe avuto occasione di svolgersi sia a livello nazionale, sia
decentrato.
1.8.- In vista dell’udienza, hanno depositato una memoria
illustrativa anche la FIALP e la FLP, replicando che le disposizioni
impugnate hanno irragionevolmente limitato e perfino «annichilito»,
per un arco temporale di ben cinque anni, quella liberta’ sindacale,
che proprio nella liberta’ di contrattazione ha la sua espressione
caratteristica.
La contrattazione collettiva nel settore del lavoro pubblico, che
puo’ essere limitata in ragione di esigenze finanziarie di carattere
generale e delle risorse concretamente disponibili (art. 47 del
d.lgs. n. 165 del 2001), non dovrebbe essere sospesa per un periodo
cosi’ lungo.
Pur in assenza di risorse finanziarie, le parti collettive
potrebbero operare interventi redistributivi e perequativi, per
erogare tutela nei confronti delle fasce di lavoratori a piu’ basso
reddito.
Per contro, in conseguenza delle misure impugnate, il peso del
risanamento dei conti pubblici graverebbe in misura sproporzionata
sulla sola categoria dei dipendenti pubblici.
2.- Con ordinanza depositata il 1° marzo 2014 e iscritta al n.
125 del registro ordinanze 2014, il Tribunale ordinario di Ravenna,
in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 9, commi 1, 2-bis, 17, primo
periodo, e 21, ultimo periodo, del d.l. n. 78 del 2010 e dell’art.
16, comma 1, lettere b) e c), del d.l. n. 98 del 2011, in riferimento
agli artt. 2, 3, primo comma, 35, primo comma, 36, primo comma, 39,
primo comma, e 53 Cost.
2.1.- Il giudice rimettente espone di conoscere della
controversia promossa da dipendenti del Ministero della giustizia, in
servizio presso il Tribunale ordinario di Ravenna.
I ricorrenti hanno chiesto, previo accertamento
dell’illegittimita’ del blocco stipendiale e contrattuale, di vedere
riconosciuto il diritto all’aumento e/o all’adeguamento del
trattamento retributivo, fermo al 2010, e comunque il diritto
all’indennizzo e/o all’indennita’ per il danno patito per effetto
della violazione del diritto a una retribuzione giusta e
proporzionata alla quantita’ e alla qualita’ del lavoro prestato o
perlomeno adeguata all’inflazione e/o al costo della vita.
Il lavoro – allegano i ricorrenti – si sarebbe aggravato in
conseguenza della diminuzione del numero dei dipendenti dell’Ufficio
per il “blocco” legislativo del turn over.
La controversia e’ stata incardinata dinanzi al Tribunale di
Ravenna anche dalla CONFSAL-UNSA, Confederazione generale dei
sindacati autonomi dei lavoratori – Unione nazionale sindacati
autonomi. In qualita’ di sindacato maggiormente rappresentativo del
comparto Ministeri e di sindacato primo per rappresentativita’ del
Ministero della giustizia, ha chiesto, in primo luogo, l’accertamento
del diritto a partecipare alle procedure contrattuali collettive e,
in secondo luogo, e’ intervenuta in senso adesivo alle ragioni dei
propri iscritti.
Il Ministero della giustizia si e’ costituito nel giudizio
principale, deducendo l’infondatezza delle domande e delle questioni
di legittimita’ costituzionale e sollevando eccezioni pregiudiziali
d’incompetenza per territorio, di carenza di legittimazione attiva e
passiva delle parti.
Il giudice rimettente ha scelto di decidere, unitamente al merito
della causa, le eccezioni relative all’incompetenza per territorio,
con riguardo alla posizione di D’A.C. e P.A., le eccezioni di difetto
di legittimazione attiva dei ricorrenti e di legittimazione passiva
del Ministero della giustizia.
Quanto alle domande proposte dal sindacato, volte ad ottenere la
riapertura della contrattazione collettiva, il giudice rimettente si
e’ spogliato della controversia a favore del Tribunale ordinario di
Roma, in funzione di giudice del lavoro. La competenza per territorio
si radicherebbe innanzi a tale giudice, in quanto a Roma ha sede il
Ministero convenuto in causa.
Tale declaratoria d’incompetenza – ad avviso del giudice
rimettente – non elide la rilevanza delle questioni di legittimita’
costituzionale del blocco della contrattazione.
Il sindacato, difatti, avrebbe comunque titolo a sostenere le
domande degli iscritti, che presuppongono l’accertamento
dell’illegittimita’ costituzionale di tale blocco.
In punto di rilevanza, il giudice rimettente evidenzia che la
normativa censurata preclude l’accoglimento delle domande dei
ricorrenti.
Per quel che attiene alla non manifesta infondatezza, le
disposizioni impugnate contrasterebbero con il principio di
eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), poiche’ si rivolgerebbero
ai soli pubblici dipendenti “contrattualizzati”, senza coinvolgere
altre categorie del lavoro pubblico (appartenenti al comparto scuola,
forze armate, prefetti, ambasciatori, magistrati).
Tali misure confliggerebbero con l’art. 3, primo comma, Cost.,
anche sotto il profilo dell’irragionevolezza intrinseca, giacche’
sarebbero irrispettose dei caratteri di transitorieta’ e di
eccezionalita’, che la giurisprudenza costituzionale ha indicato come
parametri di legittimita’ di provvedimenti affini.
Il giudice rimettente scorge un altro profilo d’illegittimita’
costituzionale nel contrasto con la gradualita’ dei sacrifici imposti
(art. 53 Cost.) e la solidarieta’ (art. 2 Cost.).
La disciplina censurata, secondo questa prospettazione,
penalizzerebbe i dipendenti pubblici che percepiscono gli stipendi
piu’ bassi, preservando la posizione di quelli con redditi piu’
elevati.
Il giudice rimettente segnala, inoltre, la violazione dell’art.
36, primo comma, Cost., rilevando che il blocco contrattuale e
stipendiale, protraendosi dal 2010, pregiudicherebbe il diritto a una
retribuzione adeguata e proporzionata al lavoro svolto. Il
pregiudizio si aggraverebbe per effetto del blocco del turn over.
Il blocco contrattuale sarebbe lesivo dei principi consacrati
dagli artt. 35, primo comma, e 39, primo comma, Cost., visto che
andrebbe a detrimento dell’autonomia negoziale e della liberta’
sindacale riservata alle parti nell’ambito della contrattazione
collettiva.
Gli interventi normativi, che limitano al 2013/2014 la riapertura
delle procedure contrattuali soltanto per la parte normativa, non
varrebbero a mutare il quadro appena delineato.
2.2.- Nel giudizio sono intervenuti i lavoratori, ricorrenti nel
giudizio a quo, e la Confederazione CONFSAL-UNSA, chiedendo
l’accoglimento della questione di legittimita’ costituzionale,
sollevata dal Tribunale ordinario di Ravenna, sotto tutti i profili
evocati (violazione della liberta’ sindacale e dell’autonomia
collettiva, tutelate dall’art. 39, primo comma, Cost., violazione
degli artt. 35, primo comma, e 36, primo comma, Cost., violazione del
principio di eguaglianza e di ragionevolezza).
2.3.- E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, con una memoria corredata anche da una nota del
Dipartimento della funzione pubblica, chiedendo di respingere le
questioni di legittimita’ costituzionale proposte dal Tribunale
ordinario di Ravenna, in quanto irrilevanti, inammissibili e
manifestamente infondate.
L’Avvocatura generale dello Stato adombra, in via pregiudiziale,
la carenza d’interesse dell’organizzazione sindacale, che non ha
impugnato gli atti lesivi applicativi.
Per quel che concerne il merito delle questioni, la difesa dello
Stato ribadisce che le disposizioni censurate mirano a ridurre la
spesa pubblica, in adempimento degli obblighi che derivano
dall’appartenenza all’Unione europea e dell’obbligo,
costituzionalmente sancito, di raggiungere l’equilibrio strutturale
delle entrate e delle spese del bilancio.
Sarebbe legittima, alla luce delle enunciazioni di principio
della giurisprudenza costituzionale, l’introduzione di misure
eccezionali, transitorie, non arbitrarie e consentanee allo scopo
prefisso, volte a fissare limiti di compatibilita’ della
contrattazione collettiva con le finanze pubbliche.
Tali misure non sarebbero irragionevoli, in quanto
salvaguarderebbero l’erogazione dell’indennita’ di vacanza
contrattuale e non assoggetterebbero al vincolo ne’ le componenti
retributive legate ad eventi straordinari della dinamica retributiva
individuale, ne’ la parte accessoria variabile.
Tali peculiarita’ garantirebbero il rispetto del principio di
parita’ di trattamento, del vincolo sinallagmatico, tutelato
dall’art. 36, primo comma, Cost., del diritto di azione sindacale e
dell’autonomia negoziale, che non sarebbe stata affatto esclusa in
radice, come dimostrerebbe l’esplicarsi della contrattazione
integrativa e della contrattazione nazionale.
La difesa dello Stato revoca in dubbio il carattere
pregiudizievole della mancata applicazione dell’indicatore
d’inflazione IPCA (indice dei prezzi al consumo armonizzato europeo)
e della conseguente applicazione, per la rivalutazione dello
stipendio, del tasso d’inflazione programmata.
I dipendenti pubblici, inoltre, avrebbero percepito quote
aggiuntive di salario in misura percentualmente maggiore rispetto al
settore privato, erogate dalla contrattazione integrativa. Le
retribuzioni di fatto del pubblico impiego beneficerebbero di una
dinamica superiore al TIP (tasso di inflazione programmata) e
resisterebbero all’inflazione reale registrata a consuntivo.
Non sarebbero, dunque, fondati i rilievi sulla disparita’ di
trattamento tra il settore pubblico e il settore privato, anche
perche’ pretermettono la specialita’ del rapporto di lavoro pubblico
e le esigenze di perseguimento di interessi generali, coessenziali a
tale ambito.
A fronte di una misura sfornita di ogni carattere tributario, non
parrebbero aver pregio neppure le censure di violazione degli artt. 2
e 53 Cost.
La normativa, pertanto, ripromettendosi di neutralizzare gli
effetti della crisi economica, in un’ottica di razionalizzazione e di
riduzione della spesa pubblica, non presterebbe il fianco alle
censure proposte.
2.4.- Nella memoria, depositata in prossimita’ dell’udienza, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha passato in rassegna le
argomentazioni gia’ spese nel giudizio r.o. n. 76 del 2014 (si veda
supra punto 1.7. del Ritenuto in fatto).
2.5.- In vista dell’udienza, hanno depositato una memoria
illustrativa anche i dipendenti del Ministero della giustizia e la
CONFSAL-UNSA, confutando le tesi propugnate dalla difesa dello Stato
e puntualizzando che, con la legge di stabilita’ per il 2015, il
blocco della contrattazione economica e’ stato esteso fino al 31
dicembre 2015.
Le parti intervenute lamentano che la normativa abbia bilanciato
in maniera irragionevole e sproporzionata i diritti sociali
fondamentali (artt. 35, primo comma, 36, primo comma, e 39, primo
comma, Cost.) e gli obiettivi di pareggio di bilancio e di
risanamento economico (art. 81 Cost.).
La reiterazione delle misure, cosi’ come congegnata in questi
anni, implicherebbe una deroga costante al meccanismo di adeguamento
retributivo, pregiudizievole per i dipendenti che percepiscono una
retribuzione modesta e sono costretti, in conseguenza del blocco del
turn over, a un carico di lavoro superiore.
Quanto ai contratti integrativi, enumerati dalla difesa dello
Stato, riguarderebbero aspetti estranei al trattamento retributivo,
sottoposto, con il decorrere del tempo, a una rilevante erosione del
potere d’acquisto, dovuta anche al temporaneo abbandono del
meccanismo di adeguamento secondo l’indice IPCA, che registra dati
costantemente superiori al tasso d’inflazione programmata.
3.- All’udienza pubblica, le parti costituite nel giudizio e il
Presidente del Consiglio dei ministri hanno insistito per
l’accoglimento delle conclusioni formulate nelle difese scritte.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del
lavoro, dubita della legittimita’ costituzionale dell’art. 9, commi 1
e 17, primo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita’
economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,
della legge 30 luglio 2010, n. 122, e dell’art. 16, comma 1, del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, in
riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 35, primo comma, 36, primo
comma, 39, primo comma, e 53 Cost.
La normativa impugnata, che determina per i lavoratori di cui
all’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
(Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche) una prolungata sospensione delle procedure
negoziali e dell’ordinaria dinamica retributiva, si porrebbe in
contrasto con i principi di eguaglianza, di tutela del lavoro, di
proporzionalita’ della retribuzione al lavoro svolto, di liberta’ di
contrattazione collettiva.
Le limitazioni, imposte dal legislatore per il periodo 2010-2014,
introdurrebbero una disciplina irragionevole e sproporzionata,
discriminando, per un periodo tutt’altro che transitorio ed
eccezionale, i lavoratori pubblici rispetto ai lavoratori del settore
privato.
2.- Il Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del
lavoro, sospetta di illegittimita’ costituzionale l’art. 9, commi 1,
2-bis, 17, primo periodo, e 21, ultimo periodo, del d.l. n. 78 del
2010, e l’art. 16, comma 1, lettere b) e c), del d.l. n. 98 del 2011,
in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 35, primo comma, 36,
primo comma, 39, primo comma, e 53 Cost.
Il giudice rimettente assume che il “congelamento” delle
retribuzioni dei pubblici dipendenti rientranti nel regime della
contrattazione collettiva, prolungatosi per il periodo 2010-2014,
senza alcuna possibilita’ di recupero, riveli molteplici profili di
contrasto con la Carta costituzionale.
Tale disciplina, destinata ad applicarsi per un periodo
apprezzabile, comprometterebbe irreparabilmente lo svolgersi della
contrattazione collettiva e il diritto dei lavoratori pubblici,
sottoposti ad un carico di lavoro sempre piu’ gravoso, a percepire
una retribuzione proporzionata al lavoro svolto.
Le norme impugnate, che trascendono i limiti della transitorieta’
e dell’eccezionalita’ tracciati dalla giurisprudenza costituzionale
per gli interventi di contenimento della spesa, introdurrebbero un
prelievo tributario a carico dei pubblici dipendenti, in spregio
all’universale dovere di solidarieta’ economica (art. 2 Cost.) e al
principio di gradualita’ dei sacrifici imposti (art. 53 Cost.).
La disciplina in esame discriminerebbe i lavoratori pubblici
rispetto ai lavoratori privati e introdurrebbe disparita’ di
trattamento arbitrarie anche tra le varie categorie di dipendenti
pubblici.
3.- Alle censure dei giudici rimettenti la difesa dello Stato ha
contrapposto l’eccezionalita’ dell’intervento normativo, che, in
armonia con le esigenze costituzionalmente imposte di salvaguardia
della stabilita’ di bilancio, si articola comunque in un periodo di
tempo circoscritto e impone un sacrificio ragionevole all’autonomia
collettiva e ai diritti tutelati dall’art. 36, primo comma, Cost.,
senza introdurre alcun prelievo tributario e senza ingenerare
discriminazioni di sorta con altre categorie di lavoratori.
4.- I due giudizi, in ragione dell’omogeneita’ delle questioni e
dell’intima connessione delle censure, devono essere riuniti e decisi
con un’unica sentenza.
5.- In via preliminare, dev’essere confermata l’ordinanza letta
nel corso dell’udienza pubblica e qui allegata, che ha dichiarato
ammissibile l’intervento della Confederazione indipendente sindacati
europei (CSE) e inammissibili gli interventi spiegati dalla
Federazione GILDA-UNAMS e dalla Confederazione autonoma dei
dirigenti, quadri e direttivi della pubblica amministrazione
(CONFEDIR), nel giudizio iscritto al n. 76 del registro ordinanze
2014.
6.- La normativa impugnata, nei termini esposti dai giudici
rimettenti, concerne le previsioni del d.l. n. 78 del 2010 e del d.l.
n. 98 del 2011, nella parte in cui sacrificano la liberta’ di
accedere alla contrattazione collettiva e circondano di limiti
rigorosi l’incremento delle retribuzioni nel lavoro pubblico.
Il d.l. n. 78 del 2010 stabilisce che non si dia luogo, senza
possibilita’ di recupero, «alle procedure contrattuali e negoziali
relative al triennio 2010-2012 del personale di cui all’articolo 2,
comma 2 […] del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e
successive modificazioni» e salvaguarda l’erogazione dell’indennita’
di vacanza contrattuale «nelle misure previste a decorrere dall’anno
2010 in applicazione dell’articolo 2, comma 35, della legge 22
dicembre 2008, n. 203» (art. 9, comma 17).
Alla sospensione delle «procedure contrattuali e negoziali» si
associa la previsione del “congelamento” dei trattamenti retributivi,
che, per gli anni 2011, 2012, 2013, non possono superare, neppure
nelle componenti accessorie, «il trattamento ordinariamente spettante
per l’anno 2010» (art. 9, comma 1).
Anche il trattamento accessorio del personale, ivi compreso
quello di livello dirigenziale, e il trattamento retributivo delle
progressioni di carriera soggiacciono a limitazioni drastiche, che
sono fatte segno delle specifiche censure del Tribunale ordinario di
Ravenna.
Quanto al trattamento accessorio del personale, l’art. 9, comma
2-bis, del d.l. n. 78 del 2010 sancisce che «non puo’ superare il
corrispondente importo dell’anno 2010 ed e’, comunque,
automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del
personale in servizio».
L’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010 attribuisce alle
progressioni di carriera, per gli anni 2011, 2012, 2013, una valenza
esclusivamente giuridica.
A prolungare gli effetti di tali misure di contenimento della
spesa, interviene il d.l. n. 98 del 2011, che persegue l’obiettivo di
assicurare il consolidamento delle misure di razionalizzazione e
contenimento della spesa in materia di pubblico impiego adottate
nell’ambito della manovra di finanza pubblica per gli anni 2011-2013,
indicando ulteriori risparmi in termini di indebitamento netto che si
spingono fino al 2016 (art. 16, comma 1).
In tale ottica, il legislatore ha demandato a uno o piu’
regolamenti, da emanare ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge
23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attivita’ di Governo e
ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), previa
proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione
e dell’economia e delle finanze, la previsione della «proroga fino al
31 dicembre 2014 delle vigenti disposizioni che limitano la crescita
dei trattamenti economici anche accessori del personale delle
pubbliche amministrazioni previste dalle disposizioni medesime» (art.
16, comma 1, lettera b), e «la fissazione delle modalita’ di calcolo
relative all’erogazione dell’indennita’ di vacanza contrattuale per
gli anni 2015-2017» (art. 16, comma 1, lettera c).
Il d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di
proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi
stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell’articolo 16,
commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito,
con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111) si colloca nel
solco di tali indicazioni normative.
L’art. 1, comma 1, lettera a), proroga sino al 31 dicembre 2014
le disposizioni di cui all’art. 9, commi 1, 2-bis e 21 del d.l. n. 78
del 2010, in tema di trattamenti economici individuali, di
trattamenti accessori, di progressioni di carriera. L’art. 1, comma
1, lettera c), precisa che «si da’ luogo, alle procedure contrattuali
e negoziali ricadenti negli anni 2013-2014 del personale dipendente
dalle amministrazioni pubbliche cosi’ come individuate ai sensi
dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e
successive modificazioni, per la sola parte normativa e senza
possibilita’ di recupero per la parte economica».
Quanto all’indennita’ di vacanza contrattuale, l’art. 1, comma 1,
lettera d), esclude che, per il periodo 2013-2014, siano dovuti
incrementi. Per la tornata 2015-2017, l’indennita’ e’ dovuta «secondo
le modalita’ ed i parametri individuati dai protocolli e dalla
normativa vigenti».
Le previsioni regolamentari sono state trasfuse in una fonte di
rango legislativo (legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – Legge di stabilita’ 2014»), con riguardo all’indennita’
di vacanza contrattuale per il periodo 2015-2017 (art. 1, comma 452),
alla sospensione delle procedure negoziali inerenti alla parte
economica per il periodo 2013-2014 (art. 1, comma 453), all’ammontare
dei trattamenti accessori (art. 1, comma 456). Per effetto dell’art.
1, comma 254, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
di stabilita’ 2015), la sospensione delle procedure negoziali e’
destinata a protrarsi, per la parte economica, fino al 31 dicembre
2015.
A tale sospensione non fa riscontro alcun incremento
dell’indennita’ di vacanza contrattuale, ancorata, fino al 2018, ai
valori del 31 dicembre 2013 (art. 1, comma 255, della legge n. 190
del 2014).
7.- Le questioni di legittimita’ costituzionale devono essere
esaminate alla stregua del quadro normativo appena delineato,
caratterizzato da disposizioni susseguitesi nel tempo, legate da un
evidente nesso di continuita’, al fine di perseguire un dichiarato
obiettivo di contenimento della spesa.
7.1.- La difesa dello Stato formula alcune eccezioni preliminari.
Quanto al paventato difetto di incidentalita’, si deve rilevare
che entrambi i giudizi non si esauriscono nell’accertamento
dell’illegittimita’ costituzionale della normativa censurata.
Nel giudizio pendente dinanzi al Tribunale ordinario di Roma, le
organizzazioni sindacali, oltre all’accertamento del diritto di
accedere alla contrattazione collettiva, hanno chiesto la condanna
dell’ARAN ad avviare le trattative. Nel contenzioso ravennate il
giudice e’ investito delle questioni concernenti le pretese
retributive dei lavoratori ricorrenti, nonche’ delle domande di
natura indennitaria e risarcitoria.
Da tali considerazioni si evince che il petitum del giudizio
principale, in ambedue i casi, ha una maggiore latitudine rispetto
all’oggetto della questione di legittimita’ costituzionale e involge
un tema di indagine piu’ complesso, che impone ai giudici rimettenti,
dopo la soluzione del dubbio di costituzionalita’, di orientare su
aspetti diversi il dibattito processuale. Nei giudizi a quibus,
pertanto, non e’ dato discernere quella perfetta sovrapponibilita’
del petitum del giudizio principale rispetto all’oggetto del giudizio
di legittimita’ costituzionale (sentenza n. 84 del 2006), che snatura
il carattere incidentale del giudizio.
7.2.- La difesa dello Stato, nel giudizio iscritto al n. 125 del
registro ordinanze 2014, adombra una carenza d’interesse delle
organizzazioni sindacali ricorrenti, desumendola dalla mancata
impugnazione degli atti lesivi, chiamati a dare applicazione alle
norme censurate.
Tale rilievo non puo’ essere condiviso.
E’ palese l’interesse delle organizzazioni ricorrenti a reclamare
l’effettiva tutela di prerogative costituzionali, ad esse
riconoscibili, che si ritiene siano messe a repentaglio dalle norme
impugnate.
7.3.- Nelle memorie integrative, depositate il 29 maggio 2015, la
difesa dello Stato lamenta che i giudici rimettenti abbiano omesso di
esplorare la praticabilita’ di un’interpretazione conforme al dettato
costituzionale e di offrire una motivazione esaustiva sulla rilevanza
della questione.
Le ordinanze di rimessione superano, anche da tale angolo
visuale, il vaglio di ammissibilita’, sollecitato a questa Corte. Le
censure di illegittimita’ costituzionale si appuntano contro una
normativa con un significato letterale e sistematico inequivocabile,
che non offre alcun appiglio ad una interpretazione alternativa,
rispettosa dei principi della Carta fondamentale.
8.- Le ordinanze di rimessione, nondimeno, non appaiono scevre da
lacune, che ridondano sul piano dell’inammissibilita’ di alcune delle
questioni proposte.
8.1.- Presentano, anzitutto, profili di inammissibilita’ le
censure riguardanti l’indennita’ di vacanza contrattuale.
I giudici rimettenti, nell’impugnare l’art. 16, comma 1, lettera
c), del d.l. n. 98 del 2011, non spiegano per quale ragione sia
rilevante ratione temporis, alla luce delle domande proposte dalle
parti sindacali e dai lavoratori, una normativa che riguarda
specificamente le modalita’ di calcolo relative all’erogazione
dell’indennita’ di vacanza contrattuale per gli anni 2015-2017.
Le ordinanze non chiariscono, inoltre, il profilo attinente alla
non manifesta infondatezza, incentrato sulla violazione dell’art. 36,
primo comma, Cost.
I giudici a quibus, nell’esaminare la disciplina che concerne la
determinazione dell’indennita’ di vacanza contrattuale e l’esclusione
degli incrementi di questa voce fino al 2017 (e poi, nella pendenza
della lite, fino al 2018), non enunciano le ragioni del contrasto
della normativa con il canone della proporzionalita’ della
retribuzione (art. 36, primo comma, Cost.).
Secondo l’insegnamento costante di questa Corte, la conformita’
della retribuzione ai requisiti di proporzionalita’ e sufficienza
indicati dall’art. 36, primo comma, Cost. deve essere valutata in
relazione alla retribuzione nel suo complesso, non gia’ alle singole
componenti di essa (fra le tante, sentenze n. 366 del 2006 e n. 164
del 1994).
Le ordinanze non si soffermano su tale valutazione complessiva.
8.2.- Con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 35, primo
comma, Cost., le ordinanze di rimessione non offrono, a sostegno dei
dubbi di costituzionalita’, argomentazioni autonome, che valgano ad
affrancare il richiamo al precetto costituzionale dalla sua funzione
ancillare rispetto alle censure fondate sugli artt. 36, primo comma,
e 39, primo comma, Cost.
8.3.- Sono inammissibili anche le questioni proposte dal
Tribunale ordinario di Roma in riferimento all’art. 53 Cost.
Su tale profilo, l’ordinanza di rimessione e’ parca di
riferimenti circostanziati e – come la difesa dello Stato non ha
mancato di eccepire – si limita a menzionare nel dispositivo il
parametro costituzionale, omettendo di fornire un’argomentazione
esaustiva sulle ragioni del contrasto con le norme invocate.
9.- Cosi’ delimitato l’ambito del giudizio, occorre esaminare le
censure che postulano l’illegittimita’ radicale dei provvedimenti
legislativi restrittivi della dinamica contrattuale e salariale nel
lavoro pubblico, senza annettere alcun rilievo al fattore della
durata di tali misure.
9.1.- Il Tribunale ordinario di Ravenna ritiene di argomentare
tale illegittimita’ sulla scorta del richiamo all’art. 53 Cost. e
configura, per il caso di specie, un prelievo tributario a tutti gli
effetti. Il giudice rimettente raccorda il principio di “gradualita’
dei sacrifici imposti”, di progressivita’ dell’imposizione e di
capacita’ contributiva (art. 53 Cost.) al piu’ generale dovere di
solidarieta’, prescritto dall’art. 2 Cost.
Le censure, cosi’ articolate, muovono dall’erroneo presupposto
interpretativo che il meccanismo di “blocco” si sostanzi, in ultima
analisi, nell’imposizione di un tributo.
Le caratteristiche delle misure impugnate, che si traducono in un
mero risparmio di spesa e non si atteggiano come decurtazione
definitiva del patrimonio del soggetto passivo e come atto
autoritativo di carattere ablatorio, diretto a reperire risorse per
l’erario, divergono dagli elementi distintivi del prelievo tributario
(fra le tante, sentenza n. 70 del 2015, punto 4. del Considerato in
diritto).
Gli elementi indefettibili della prestazione tributaria,
enucleati dalla costante giurisprudenza di questa Corte, si
identificano, per un verso, nella presenza di una disciplina legale,
finalizzata in via prevalente a provocare una decurtazione
patrimoniale del soggetto passivo, svincolata da ogni modificazione
del rapporto sinallagmatico. Per altro verso, a definire la natura
tributaria concorre l’elemento teleologico.
In particolare, le risorse derivanti dal prelievo e connesse a un
presupposto economicamente rilevante, idoneo a porsi come indice
della capacita’ contributiva, devono essere destinate a «sovvenire le
pubbliche spese» (sentenza n. 310 del 2013, punto 11. del Considerato
in diritto). Caduta la premessa che si tratti di un tributo, anche le
censure di violazione dell’art. 53 Cost. perdono consistenza.
9.2.- Altre censure sono accomunate dal riferimento all’art. 3,
primo comma, Cost., evocato dal Tribunale ordinario di Roma anche in
rapporto ai doveri di solidarieta’ di cui all’art. 2 Cost., e
additano, in prima istanza, un’ingiustificata disparita’ di
trattamento tra il lavoro pubblico e il lavoro privato.
Il Tribunale ordinario di Ravenna, dal canto suo, evidenzia altre
sperequazioni con riferimento a diversi pubblici dipendenti, lungo il
discrimine che corre, da un lato, tra il lavoro pubblico assoggettato
a una disciplina contrattuale e, dall’altro, il lavoro pubblico
escluso da tale disciplina. Disparita’ di trattamento sarebbero anche
ravvisabili tra i diversi comparti del lavoro pubblico regolato dalla
fonte contrattuale.
Neppure tali censure sono fondate.
La disciplina impugnata, che non lascia indenne il personale
della carriera diplomatica (sentenza n. 304 del 2013) menzionato come
termine di paragone dal giudice ravennate, persegue l’obiettivo di un
risparmio di spesa, che «opera riguardo a tutto il comparto del
pubblico impiego, in una dimensione solidaristica – sia pure con le
differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali
delle categorie che vi appartengono» (sentenza n. 310 del 2013, punto
13.5. del Considerato in diritto).
I giudici rimettenti non tengono conto della diversita’ degli
statuti professionali delle categorie appartenenti al lavoro pubblico
e comparano fattispecie dissimili, che non possono fungere da utile
termine di raffronto.
Il lavoro pubblico e il lavoro privato non possono essere in
tutto e per tutto assimilati (sentenze n. 120 del 2012 e n. 146 del
2008) e le differenze, pur attenuate, permangono anche in seguito
all’estensione della contrattazione collettiva a una vasta area del
lavoro prestato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.
La medesima eterogeneita’ dei termini posti a raffronto connota
l’area del lavoro pubblico contrattualizzato e l’area del lavoro
pubblico estraneo alla regolamentazione contrattuale. Tale
eterogeneita’ preclude ogni plausibile valutazione comparativa sul
versante dell’art. 3, primo comma, Cost. e risalta ancor piu’ netta
in ragione dell’irriducibile specificita’ di taluni settori (forze
armate, personale della magistratura), non governati dalla logica del
contratto e indicati dal giudice ravennate come tertia comparationis.
Si valorizza in tal modo una funzione solidaristica delle misure
adottate, strettamente collegata all’eccezionalita’ della situazione
economica generale, in piena armonia con il dettato dell’art. 2 Cost.
Con riguardo al trattamento differenziato riservato al personale
della scuola, il Tribunale ordinario di Ravenna non offre ragguagli
di sorta in merito alle peculiarita’ di tale disciplina e
all’irragionevolezza intrinseca delle differenze che intercorrono tra
il genus del lavoro pubblico, disciplinato dal contratto, e la
species del comparto della scuola che, pur nella comune matrice
negoziale della disciplina del rapporto, serba intatta la sua
particolarita’.
10.- Sgombrato il campo dalle censure che presuppongono
l’indiscriminata illegittimita’ della sospensione delle procedure
negoziali, l’analisi non puo’ che riguardare ciascun provvedimento
legislativo, ricostruendone la ratio e le finalita’, allo scopo di
saggiarne la compatibilita’ con i parametri costituzionali
richiamati.
10.1.- In tal modo si e’ mossa la giurisprudenza di questa Corte,
sin dalle pronunce sulla legittimita’ costituzionale dell’art. 7,
comma 3, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti
in materia di previdenza, di sanita’ e di pubblico impiego, nonche’
disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, nella legge 14
novembre 1992, n. 438 (sentenza n. 245 del 1997, ordinanza n. 299 del
1999).
Nella disamina di una normativa che, per l’anno 1993,
disconosceva ogni incremento retributivo, questa Corte ha mostrato di
ponderare le finalita’ particolari, che ispiravano quei provvedimenti
di contenimento della spesa. Le misure a quel tempo adottate non
trasmodavano in una disciplina arbitraria, proprio perche’
circoscritte entro un anno (sentenza n. 245 del 1997, punto 3. del
Considerato in diritto).
10.2.- Quanto ai vincoli legali all’autonomia collettiva, volti a
garantire la «compatibilita’ con obiettivi generali di politica
economica», questa Corte ne ha riconosciuto la legittimita’,
giustificando in «situazioni eccezionali» ed eminentemente
transitorie, allorche’ sia in gioco la «salvaguardia di superiori
interessi generali», la compressione della liberta’ tutelata
dall’art. 39, primo comma, Cost. (sentenza n. 124 del 1991, punto 6.
del Considerato in diritto).
Anche tali rilievi sottendono una valutazione particolare,
condotta caso per caso, e non si accordano con la tesi che sia per
cio’ stesso illegittima ogni misura che precluda, per un arco di
tempo comunque definito, gli incrementi salariali e arresti lo
svolgimento delle procedure negoziali.
10.3.- Tale valutazione si incentra sul contemperamento dei
diritti, tutelati dagli artt. 36, primo comma, e 39, primo comma,
Cost., con «l’interesse collettivo al contenimento della spesa
pubblica», che deve essere adeguatamente ponderato «in un contesto di
progressivo deterioramento degli equilibri della finanza pubblica»
(sentenza n. 361 del 1996, punto 3. del Considerato in diritto).
Si tratta di misure oggi piu’ stringenti, in seguito
all’introduzione nella Carta fondamentale dell’obbligo di pareggio di
bilancio (art. 81, primo comma, Cost., come sostituito dall’art. 1
della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, recante
«Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta
costituzionale»).
Il sistema della contrattazione collettiva nel lavoro pubblico,
inteso nella sua interezza, contempla la pianificazione degli oneri
connessi al suo svolgersi nel tempo, secondo un modello dinamico, «in
coerenza con i parametri previsti dagli strumenti di programmazione e
di bilancio di cui all’articolo 1-bis della legge 5 agosto 1978, n.
468, e successive modificazioni e integrazioni» (art. 48, comma 1,
del d.lgs. n. 165 del 2001).
11.- Cio’ posto, l’analisi deve muovere dalle disposizioni
dell’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, che reca l’eloquente rubrica
«Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico» e, in
ossequio a tale linea programmatica, preclude ogni incremento dei
trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti per gli anni
2011, 2012, 2013 (comma 1), ogni efficacia economica delle
progressioni di carriera (comma 21), e – per il periodo che dal 1°
gennaio 2011 giunge fino al 31 dicembre 2013 – vieta ogni incremento
dell’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al
trattamento accessorio del personale (comma 2-bis).
La scelta di adottare disposizioni restrittive culmina nella
sospensione dello svolgimento delle procedure “contrattuali e
negoziali” per il triennio 2010-2012 (comma 17).
12.- Le disposizioni in esame sfuggono alle censure dei giudici
rimettenti.
12.1.- Con l’assetto normativo delineato dall’art. 9 del d.l. n.
78 del 2010, questa Corte ha gia’ avuto occasione di confrontarsi
(sentenze n. 219 del 2014 e n. 310 del 2013).
Seppure sotto angolazioni specifiche, le sentenze citate hanno
respinto le censure di illegittimita’ costituzionale delle misure
contenute nel d.l. n. 78 del 2010, sulla base di un percorso
argomentativo che instrada alla soluzione delle questioni di
legittimita’ costituzionale qui considerate.
Si e’ precisato, in quell’occasione, che le prospettive
necessariamente pluriennali del ciclo di bilancio non consentono
analogie con situazioni risalenti in cui le manovre economiche si
ponevano obiettivi temporalmente delimitati. A tale riguardo, questa
Corte ha valorizzato «[l]a recente riforma dell’art. 81 Cost., a cui
ha dato attuazione la legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni
per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi
dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), con
l’introduzione, tra l’altro, di regole sulla spesa, e dell’art. 97,
primo comma, Cost., rispettivamente ad opera degli artt. 1 e 2 della
legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio
del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), ma ancor prima
il nuovo primo comma dell’art. 119 Cost.» (sentenza n. 310 del 2013,
punto 13.4. del Considerato in diritto).
Anche la direttiva 8 novembre 2011, n. 2011/85/UE (Direttiva del
Consiglio relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati
membri) corrobora la necessita’ di considerare le politiche di
bilancio in una dimensione pluriennale, puntualizzando che «la
maggior parte delle misure finanziarie hanno implicazioni sul
bilancio che vanno oltre il ciclo di bilancio annuale» e che «[u]na
prospettiva annuale non costituisce pertanto una base adeguata per
politiche di bilancio solide» (considerando n. 20).
Alla stregua di tali rilievi, questa Corte ha riconosciuto la
ragionevolezza di un sistema di misure dotate di una proiezione
strutturale, che esclude in radice ogni possibilita’ di recupero
delle procedure negoziali per il periodo di riferimento (sentenza n.
189 del 2012, punto 4.1. del Considerato in diritto).
La natura pluriennale delle politiche di bilancio, espressamente
considerata nei precedenti citati, e’ speculare alla durata triennale
delle tornate contrattuali, nei termini consacrati nell’ “Intesa per
l’applicazione dell’Accordo quadro sulla riforma degli assetti
contrattuali del 22 gennaio 2009 ai comparti contrattuali del settore
pubblico”, siglata a Roma il 30 aprile 2009 dai ministri competenti e
da alcune organizzazioni sindacali (si veda, in particolare, art. 2,
lettera a).
Si prefigura, in tal modo, sia per la parte normativa, sia per
quella economica, una spiccata dimensione programmatica della
contrattazione collettiva. A conferma di una natura dinamica, tipica
dei meccanismi di rinnovo dei contratti collettivi, si possono
osservare le interrelazioni degli stessi con la manovra triennale di
finanza pubblica, secondo le cadenze scandite dall’art. 11, comma 1,
della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilita’ e finanza
pubblica) e secondo i criteri indicati dall’art. 17, comma 7 della
stessa legge.
Spetta alla legge di stabilita’ indicare, per ciascuno degli anni
compresi nel bilancio pluriennale, l’importo complessivo massimo
destinato al rinnovo dei contratti del pubblico impiego (art. 11,
comma 3, lettera g, della legge n. 196 del 2009, ai sensi dell’art.
48, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001).
12.2.- La legittimita’ delle misure ricordate, oltre che nella
prospettiva programmatica ora esposta, risiede nella ragionevolezza
che ne ispira le linee direttrici.
Si tratta, invero, di provvedimenti che, pur diversamente
modulati, si applicano all’intero comparto pubblico e impongono
limiti e restrizioni generali, in una dimensione che questa Corte ha
connotato in senso solidaristico (sentenza n. 310 del 2013, punto
13.5. del Considerato in diritto, gia’ citato).
La ragionevolezza delle misure varate discende anche dalla
particolare gravita’ della situazione economica e finanziaria,
concomitante con l’intervento normativo.
Tali dati contingenti sono confermati sia dalle fonti ufficiali
(Rapporto semestrale ARAN sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti,
giugno 2010), sia dai lavori preparatori. Il dibattito che, al
Senato, scandisce l’iter parlamentare della conversione in legge del
decreto polarizza l’attenzione sulla «particolare gravita’ della
situazione economica e finanziaria internazionale» e sulle
«ripercussioni sull’economia nazionale» (seduta della Quinta
Commissione del Senato – Commissione Bilancio – del 16 giugno 2010).
Dal canto suo, la magistratura contabile avvalora l’urgenza di
intervenire con misure di contenimento delle retribuzioni (Corte dei
conti, sezioni riunite in sede di controllo, rapporto 2012 sul
coordinamento della finanza pubblica, e Corte dei conti, sezioni
riunite in sede di controllo, rapporto 2011 sul coordinamento della
finanza pubblica).
La ragionevolezza dell’intero impianto normativo si coglie anche
nell’incidenza delle misure su una dinamica retributiva pubblica, che
si attestava «su valori piu’ sostenuti di quanto registrato nei
settori privati dell’economia» (si veda il citato Rapporto semestrale
ARAN, giugno 2010). Nella seduta della Quinta Commissione del Senato
(Commissione Bilancio), tenutasi il 16 giugno 2010, si e’
sottolineato che nell’ultimo decennio le retribuzioni dei dipendenti
pubblici hanno visto «un incremento di fatto sensibilmente superiore
per la pubblica amministrazione rispetto a quello degli altri due
comparti» dell’industria e dei servizi di mercato. Tale dato collima
con quanto e’ stato segnalato dalla Corte dei conti, sezioni riunite
di controllo, nel rapporto 2012 sul coordinamento della finanza
pubblica.
Il carattere generale delle misure varate dal d.l. n. 78 del
2010, inserite in un disegno organico improntato a una dimensione
programmatica, scandita su un periodo triennale, risponde
all’esigenza di governare una voce rilevante della spesa pubblica,
che aveva registrato una crescita incontrollata, sopravanzando
l’incremento delle retribuzioni del settore privato.
Sono dunque da disattendere le censure di violazione degli artt.
36, primo comma, e 39, primo comma, Cost., in quanto il sacrificio
del diritto alla retribuzione commisurata al lavoro svolto e del
diritto di accedere alla contrattazione collettiva non e’, nel quadro
ora delineato, ne’ irragionevole ne’ sproporzionato.
13.- Quanto alle disposizioni introdotte dall’art. 16, comma 1,
lettera b), del d.l. n. 98 del 2011, che demandavano a un regolamento
la possibilita’ di prorogare fino al 31 dicembre 2014 le vigenti
disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici anche
accessori del personale delle pubbliche amministrazioni, si deve
rilevare che il sindacato di costituzionalita’ non puo’ tralasciare
le norme della legge di stabilita’ per il 2014, che hanno recuperato
al rango primario la normativa di matrice regolamentare (d.P.R. n.
122 del 2013), inizialmente intervenuta a specificare e a completare
il contenuto precettivo delle norme di legge (sentenza n. 1104 del
1988, punto 6. del Considerato in diritto). In particolare, le
previsioni di tale legge riguardano la sospensione delle procedure
negoziali inerenti alla parte economica per il periodo 2013-2014
(art. 1, comma 453, della legge n. 147 del 2013) e la limitazione
dell’ammontare dei trattamenti accessori (art. 1, comma 456, della
legge n. 147 del 2013).
Intercorre, dunque, un nesso inscindibile tra le disposizioni del
d.l. n. 98 del 2011, specificamente impugnate, e le disposizioni
della legge di stabilita’ per il 2014 (sentenze n. 186 del 2013 e n.
310 del 2010).
14.- In primo luogo, si devono esaminare le censure relative
all’estensione fino al 31 dicembre 2014 delle disposizioni mirate a
bloccare l’incremento dei trattamenti economici complessivi dei
singoli dipendenti e dell’ammontare complessivo delle risorse
destinate ai trattamenti accessori e gli effetti economici delle
progressioni di carriera (art. 1, comma 1, lettera a, del d.P.R. n.
122 del 2013), estensione di cui si deduce anzitutto il contrasto con
l’art. 36, primo comma, Cost.
Sotto tale profilo, le censure formulate con riguardo
all’estensione delle misure restrittive oltre i confini temporali
originariamente tracciati non si dimostrano fondate, al pari di
quelle che riguardavano le originarie disposizioni del d.l. n. 78 del
2010.
14.1.- Entrambi i giudici rimettenti paventano i riflessi del
prolungato blocco della dinamica negoziale sulla proporzionalita’
della retribuzione al lavoro prestato.
Il giudice ravennate, in particolare, correla la violazione del
citato canone di proporzionalita’ al mancato adeguamento delle
retribuzioni al costo della vita e al fatto che le retribuzioni non
rispecchino il livello di professionalita’ acquisito dai lavoratori e
la maggiore gravosita’ del lavoro prestato, dovuta al blocco del turn
over.
Neppure tali rilievi persuadono circa la fondatezza dei dubbi di
costituzionalita’.
Si deve ribadire, in linea di principio, che l’emergenza
economica, pur potendo giustificare la stasi della contrattazione
collettiva, non puo’ avvalorare un irragionevole protrarsi del
“blocco” delle retribuzioni. Si finirebbe, in tal modo, per oscurare
il criterio di proporzionalita’ della retribuzione, riferito alla
quantita’ e alla qualita’ del lavoro svolto (sentenza n. 124 del
1991, punto 6. del Considerato in diritto).
Tale criterio e’ strettamente correlato anche alla valorizzazione
del merito, affidata alla contrattazione collettiva, ed e’ destinato
a proiettarsi positivamente nell’orbita del buon andamento della
pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).
Nondimeno, il giudizio sulla conformita’ al parametro dell’art.
36 Cost. non puo’ essere svolto in relazione a singoli istituti, ne’
limitatamente a periodi brevi, poiche’ si deve valutare l’insieme
delle voci che compongono il trattamento complessivo del lavoratore
in un arco temporale di una qualche significativa ampiezza, alla luce
del canone della onnicomprensivita’ (sentenza n. 154 del 2014). Con
tale valutazione complessiva l’ordinanza non si confronta.
Nel considerare – alla stregua della giurisprudenza di questa
Corte – un siffatto arco temporale, si deve notare, anzitutto, che le
disposizioni censurate hanno cessato di operare a decorrere dal 1°
gennaio 2015.
La legge di stabilita’ per il 2015 non ne ha prorogato
l’efficacia, in quanto ha dettato disposizioni che riguardano
unicamente l’estensione fino al 31 dicembre 2015 del “blocco” della
contrattazione economica (art. 1, comma 254, della legge n. 190 del
2014) ed escludono gli incrementi dell’indennita’ di vacanza
contrattuale (art. 1, comma 255, della medesima legge n. 190 del
2014). Emerge dunque con chiarezza l’orizzonte delimitato entro cui
si collocano le misure restrittive citate.
Tra i fattori rilevanti, da valutare in un arco temporale piu’
ampio, si deve annoverare, in secondo luogo, la pregressa dinamica
delle retribuzioni nel lavoro pubblico, che, attestandosi su valori
piu’ elevati di quelli riscontrati in altri settori, ha poi richiesto
misure di contenimento della spesa pubblica.
A questo riguardo, l’ordinanza di rimessione del Tribunale
ordinario di Ravenna non offre una dimostrazione puntuale del
«macroscopico ed irragionevole scostamento», che, secondo la
giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 126 del 2000, punto 5.
del Considerato in diritto), in difetto di un principio cogente di
costante allineamento delle retribuzioni, denota il contrasto della
legge con il precetto dell’art. 36, primo comma, Cost.
L’argomento suggestivo del “blocco” del turn over, legato alla
specificita’ del settore della giustizia e della realta’ locale,
analizzata nella predetta ordinanza di rimessione, non vale a dar
conto della violazione dei precetti costituzionali denunciata in capo
a una normativa destinata ad applicarsi – nella sua valenza generale
ed astratta – a una platea piu’ vasta di dipendenti del settore
pubblico.
Peraltro, dall’incremento delle pendenze da trattare, congiunto
con l’assottigliarsi del numero dei dipendenti, non si puo’ inferire,
per cio’ stesso, un aumento del carico di lavoro, che renda
radicalmente sproporzionata la retribuzione percepita.
Un’inferenza come quella ipotizzata potrebbe essere accreditata
di un qualche fondamento empirico, soltanto se le metodologie di
lavoro e i moduli organizzativi permanessero inalterati, senza
riverberarsi sul lavoro degli uffici, e se il disbrigo degli affari
avvenisse secondo le medesime scansioni temporali, imponendo
conseguentemente ai dipendenti un carico di lavoro piu’ gravoso.
Nel caso di specie, pertanto, alla stregua di una valutazione
necessariamente proiettata su un periodo piu’ ampio e del carattere
non decisivo degli elementi addotti a fondamento delle censure, non
risulta dimostrato l’irragionevole sacrificio del principio di
proporzionalita’ della retribuzione.
14.2.- L’infondatezza delle censure incentrate sull’art. 36,
primo comma, Cost. ha come corollario l’infondatezza di eventuali
pretese risarcitorie o indennitarie.
15.- Sono, invece, fondate, nei termini di cui si dira’, le
censure mosse, al regime di sospensione per la parte economica delle
procedure contrattuali e negoziali in riferimento all’art. 39, primo
comma, Cost. Esse si incentrano sul protrarsi del “blocco” negoziale,
cosi’ prolungato nel tempo da rendere evidente la violazione della
liberta’ sindacale
15.1.- Le norme impugnate dai giudici rimettenti e le norme
sopravvenute della legge di stabilita’ per il 2015 si susseguono
senza soluzione di continuita’, proprio perche’ accomunate da analoga
direzione finalistica.
Tale scansione temporale preclude, in relazione all’art. 39,
primo comma, Cost., ogni considerazione atomistica del “blocco” della
contrattazione economica per il periodo 2013-2014, avulso dalla
successiva proroga. Il “blocco”, cosi’ come emerge dalle disposizioni
che, nel loro stesso concatenarsi, ne definiscono la durata
complessiva, non puo’ che essere colto in una prospettiva unitaria.
Cio’ risulta anche dalla formulazione letterale dell’art. 1,
comma 254, della legge n. 190 del 2014, che estende fino al 2015 il
“blocco” ed e’ quindi destinato a incidere sui giudizi in corso.
15.2.- La disamina unitaria delle misure di “blocco” della
contrattazione collettiva le colloca in un orizzonte meno angusto e
contingente, per porne in luce l’incidenza, tutt’altro che episodica,
sui valori costituzionali coinvolti.
La valutazione di tali profili problematici emerge anche dal
dibattito parlamentare, che ha preceduto l’emanazione del regolamento
governativo (Commissioni riunite I, Affari costituzionali, della
Presidenza del Consiglio e Interni, e XI, Lavoro pubblico e privato,
della Camera dei deputati, parere reso il 19 giugno 2013).
Inoltre, l’entrata in vigore delle disposizioni della legge di
stabilita’ per il 2015 tende a rendere strutturali le misure
introdotte per effetto del d.P.R. n. 122 del 2013 e della legge n.
147 del 2013.
Il fatto che tali misure fossero destinate a perpetuarsi nel
tempo si evince dall’art. 1, comma 255, della legge n. 190 del 2014,
che, fino al 2018, cristallizza l’ammontare dell’indennita’ di
vacanza contrattuale ai valori del 31 dicembre 2013.
Il carattere strutturale delle misure e la conseguente violazione
dell’autonomia negoziale non possono essere esclusi, sol perche’, per
la tornata 2013-2014, e’ stata salvaguardata la liberta’ di svolgere
le procedure negoziali riguardanti la parte normativa (art. 1, comma
1, lettera c, del d.P.R. n. 122 del 2013).
La contrattazione deve potersi esprimere nella sua pienezza su
ogni aspetto riguardante la determinazione delle condizioni di
lavoro, che attengono immancabilmente anche alla parte qualificante
dei profili economici.
Non appaiono decisivi, per escludere il contrasto con l’art. 39,
primo comma, Cost., i molteplici contratti enumerati dalla difesa
dello Stato, che non attestano alcun superamento della sospensione
delle procedure negoziali per la parte squisitamente economica del
rapporto di lavoro e per gli aspetti piu’ caratteristici di tale
ambito.
L’estensione fino al 2015 delle misure che inibiscono la
contrattazione economica e che, gia’ per il 2013-2014, erano state
definite eccezionali, svela, al contrario, un assetto durevole di
proroghe. In ragione di una vocazione che mira a rendere strutturale
il regime del “blocco”, si fa sempre piu’ evidente che lo stesso si
pone di per se’ in contrasto con il principio di liberta’ sindacale
sancito dall’art. 39, primo comma, Cost.
16.- La liberta’ sindacale e’ tutelata dall’art. 39, primo comma,
Cost., nella sua duplice valenza individuale e collettiva, e ha il
suo necessario complemento nell’autonomia negoziale (ex plurimis,
sentenze n. 697 del 1988, punto 3. del Considerato in diritto, e n.
34 del 1985, punto 4. del Considerato in diritto).
Numerose fonti internazionali soccorrono nella definizione del
nesso funzionale che lega un diritto a esercizio collettivo, quale e’
la contrattazione, con la liberta’ sindacale. Pertanto,
l’interpretazione della fonte costituzionale nazionale si collega
sincronicamente con l’evoluzione delle fonti sovranazionali e da
queste trae ulteriore coerenza.
Tra tali fonti spiccano la Convenzione dell’Organizzazione
internazionale del lavoro (OIL) n. 87, firmata a San Francisco il 17
giugno 1948, concernente la liberta’ sindacale e la protezione del
diritto sindacale, la Convenzione OIL n. 98, firmata a Ginevra l’8
giugno 1949, concernente l’applicazione dei Principi del diritto di
organizzazione e di negoziazione collettiva, entrambe ratificate e
rese esecutive con legge 23 marzo 1958, n. 367, e, con specifico
riguardo al lavoro pubblico, la Convenzione OIL n. 151, relativa alla
protezione del diritto di organizzazione e alle procedure per la
determinazione delle condizioni di impiego nella funzione pubblica,
adottata a Ginevra il 27 giugno 1978 nel corso della 64ª sessione
della Conferenza generale, ratificata e resa esecutiva con legge 19
novembre 1984, n. 862.
Un rapporto di mutua implicazione tra liberta’ sindacale e
contrattazione collettiva traspare dall’evoluzione della
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sulla
liberta’ sindacale, che interpreta estensivamente l’art. 11 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
liberta’ fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Grande
Camera, sentenza 12 novembre 2008, Demir e Baykara contro Turchia,
riguardante il diritto di stipulare contratti collettivi nel lavoro
pubblico).
Si deve inoltre citare l’art. 6 della Carta sociale europea,
riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996,
ratificata e resa esecutiva con legge 9 febbraio 1999, n. 30, che
affianca all’esercizio collettivo del diritto di contrattazione la
procedura dei reclami collettivi, disciplinata dal Protocollo
addizionale alla Carta del 1995.
Il «diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi» e’
riconosciuto anche dall’art. 28 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata
a Strasburgo il 12 dicembre 2007, che ha ora «lo stesso valore
giuridico dei trattati», in forza dell’art. 6, comma 1, del Trattato
sull’Unione europea (TUE), come modificato dal Trattato di Lisbona,
firmato il 13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con legge 2
agosto 2008 n. 130, ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009.
Infine, in un quadro inteso a riconoscere e a promuovere il ruolo
delle parti sociali, a favorire il dialogo tra le stesse, nel
rispetto della loro autonomia, si deve ricordare l’art. 152, comma 1,
del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), norma
introdotta con il Trattato di Lisbona.
17.- Il reiterato protrarsi della sospensione delle procedure di
contrattazione economica altera la dinamica negoziale in un settore
che al contratto collettivo assegna un ruolo centrale (sentenza n.
309 del 1997, punti 2.2.2., 2.2.3. e 2.2.4. del Considerato in
diritto). Nei limiti tracciati dalle disposizioni imperative della
legge (art. 2, commi 2, secondo periodo, e 3-bis del d.lgs. n. 165
del 2001), il contratto collettivo si atteggia come imprescindibile
fonte, che disciplina anche il trattamento economico (art. 2, comma
3, del d.lgs. n. 165 del 2001), nelle sue componenti fondamentali ed
accessorie (art. 45, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001), e «i
diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro,
nonche’ le materie relative alle relazioni sindacali» (art. 40, comma
1, primo periodo, del d.lgs. n. 165 del 2001).
In una costante dialettica con la legge, chiamata nel volgere
degli anni a disciplinare aspetti sempre piu’ puntuali (art. 40,
comma 1, secondo e terzo periodo, del d.lgs. n. 165 del 2001), il
contratto collettivo contempera in maniera efficace e trasparente gli
interessi contrapposti delle parti e concorre a dare concreta
attuazione al principio di proporzionalita’ della retribuzione,
ponendosi, per un verso, come strumento di garanzia della parita’ di
trattamento dei lavoratori (art. 45, comma 2, del d.lgs. n. 165 del
2001) e, per altro verso, come fattore propulsivo della produttivita’
e del merito (art. 45, comma 3, del d.lgs. 165 del 2001).
Il contratto collettivo che disciplina il lavoro alle dipendenze
delle pubbliche amministrazioni si ispira, proprio per queste
peculiari caratteristiche che ne garantiscono l’efficacia soggettiva
generalizzata, ai doveri di solidarieta’ fondati sull’art. 2 Cost.
Tali elementi danno conto sia delle molteplici funzioni che, nel
lavoro pubblico, la contrattazione collettiva riveste, coinvolgendo
una complessa trama di valori costituzionali (artt. 2, 3, 36, 39 e 97
Cost.), in un quadro di tutele che si e’ visto essere presidiato
anche da numerose fonti sovranazionali, sia delle disarmonie e delle
criticita’, che una protratta sospensione della dinamica negoziale
rischia di produrre.
Se i periodi di sospensione delle procedure “negoziali e
contrattuali” non possono essere ancorati al rigido termine di un
anno, individuato dalla giurisprudenza di questa Corte in relazione a
misure diverse e a un diverso contesto di emergenza (sentenza n. 245
del 1997, ordinanza n. 299 del 1999), e’ parimenti innegabile che
tali periodi debbano essere comunque definiti e non possano essere
protratti ad libitum.
Su tale linea converge anche la Corte europea dei diritti
dell’uomo, che ha sottolineato l’esigenza di «un “giusto equilibrio”
tra le esigenze di interesse generale della comunita’ e i requisiti
di protezione dei diritti fondamentali dell’individuo» e ha
salvaguardato le misure adottate dal legislatore portoghese – in tema
di riduzione dei trattamenti pensionistici – sulla scorta
dell’elemento chiave del limite temporale che le contraddistingue
(Seconda sezione, sentenza 8 ottobre 2013, Antonio Augusto da
Conceiçao Mateus e Lino Jesus Santos Januario contro Portogallo,
punti 23 e seguenti del Considerato in diritto).
Il carattere ormai sistematico di tale sospensione sconfina,
dunque, in un bilanciamento irragionevole tra liberta’ sindacale
(art. 39, primo comma, Cost.), indissolubilmente connessa con altri
valori di rilievo costituzionale e gia’ vincolata da limiti normativi
e da controlli contabili penetranti (artt. 47 e 48 del d.lgs. n. 165
del 2001), ed esigenze di razionale distribuzione delle risorse e
controllo della spesa, all’interno di una coerente programmazione
finanziaria (art. 81, primo comma, Cost.).
Il sacrificio del diritto fondamentale tutelato dall’art. 39
Cost., proprio per questo, non e’ piu’ tollerabile.
Solo ora si e’ palesata appieno la natura strutturale della
sospensione della contrattazione e puo’, pertanto, considerarsi
verificata la sopravvenuta illegittimita’ costituzionale, che spiega
i suoi effetti a seguito della pubblicazione di questa sentenza.
18.- Rimossi, per il futuro, i limiti che si frappongono allo
svolgimento delle procedure negoziali riguardanti la parte economica,
sara’ compito del legislatore dare nuovo impulso all’ordinaria
dialettica contrattuale, scegliendo i modi e le forme che meglio ne
rispecchino la natura, disgiunta da ogni vincolo di risultato.
Il carattere essenzialmente dinamico e procedurale della
contrattazione collettiva non puo’ che essere ridefinito dal
legislatore, nel rispetto dei vincoli di spesa, lasciando
impregiudicati, per il periodo gia’ trascorso, gli effetti economici
derivanti dalla disciplina esaminata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimita’ costituzionale sopravvenuta, a
decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione di questa sentenza
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e nei termini indicati in
motivazione, del regime di sospensione della contrattazione
collettiva, risultante da: art. 16, comma 1, lettera b), del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, come
specificato dall’art. 1, comma 1, lettera c), primo periodo, del
d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga
del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i
pubblici dipendenti, a norma dell’articolo 16, commi 1, 2 e 3, del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111); art. 1, comma 453, della legge
27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2014) e art.
1, comma 254, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge
di stabilita’ 2015);
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimita’
costituzionale dell’art. 16, comma 1, lettera c), del d.l. n. 98 del
2011, come specificato dall’art. 1, comma 1, lettera d), del d.P.R.
n. 122 del 2013, e dall’art. 1, comma 452, della legge n. 147 del
2013, promosse, in riferimento all’art. 36, primo comma, della
Costituzione, dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice
del lavoro, e dal Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di
giudice del lavoro, con le ordinanze di rimessione indicate in
epigrafe;
3) dichiara inammissibili le questioni di legittimita’
costituzionale dell’art. 9, commi 1 e 17, primo periodo, del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitivita’ economica),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30
luglio 2010, n. 122, e dell’art. 16, comma 1, lettera b), del d.l. n.
98 del 2011, come specificato dall’art. 1, comma 1, lettera a), primo
periodo, del d.P.R. n. 122 del 2013, con riguardo alla limitazione
dei trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, e
dall’art. 1, comma 1, lettera c), primo periodo, del d.P.R. n. 122
del 2013 e dall’art. 1, comma 453, della legge n. 147 del 2013, con
riguardo alla sospensione delle procedure contrattuali e negoziali
per la parte economica per il periodo 2013-2014, sollevate, in
riferimento agli artt. 35, primo comma, e 53, primo e secondo comma,
della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di
giudice del lavoro, con l’ordinanza di rimessione indicata in
epigrafe;
4) dichiara inammissibili le questioni di legittimita’
costituzionale degli artt. 9, commi 1, 2-bis, 17, primo periodo, e
21, ultimo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, e 16, comma 1, lettera
b), del d.l. n. 98 del 2011, come specificato dall’art. 1, comma 1,
lettera a), primo periodo, del d.P.R. n. 122 del 2013, con riguardo
alla limitazione dei trattamenti economici complessivi dei singoli
dipendenti, del trattamento accessorio, degli effetti economici delle
progressioni di carriera, dall’art. 1, comma 456, della legge n. 147
del 2013, con riguardo alla limitazione dei trattamenti accessori,
dall’art. 1, comma 1, lettera c), primo periodo, del d.P.R. n. 122
del 2013 e dall’art. 1, comma 453, della legge n. 147 del 2013, con
riguardo alla sospensione delle procedure contrattuali e negoziali
per la parte economica per il periodo 2013-2014, promosse, in
riferimento all’art. 35, primo comma, della Costituzione, dal
Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del lavoro,
con l’ordinanza di rimessione indicata in epigrafe;
5) dichiara non fondate le questioni di legittimita’
costituzionale dell’art. 9, commi 1 e 17, primo periodo, del d.l. n.
78 del 2010, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma,
36, primo comma, e 39, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale
ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza
di rimessione indicata in epigrafe;
6) dichiara non fondate le questioni di legittimita’
costituzionale dell’art. 16, comma 1, lettera b), del d.l. n. 98 del
2011, come specificato dall’art. 1, comma 1, lettera a), primo
periodo, del d.P.R. n. 122 del 2013, con riguardo alla limitazione
dei trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti,
dall’art. 1, comma 1, lettera c), primo periodo, del d.P.R. n. 122
del 2013, e dall’art. 1, comma 453, della legge n. 147 del 2013, con
riguardo alla sospensione delle procedure contrattuali e negoziali
per la parte economica per il periodo 2013-2014, sollevate, in
riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, e 36, primo comma, della
Costituzione, dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice
del lavoro, con l’ordinanza di rimessione indicata in epigrafe;
7) dichiara non fondate le questioni di legittimita’
costituzionale dell’art. 9, commi 1, 2-bis, 17, primo periodo, e 21,
ultimo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, promosse, in riferimento
agli artt. 2, 3, primo comma, 36, primo comma, 39, primo comma, e 53,
primo e secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di
Ravenna, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza di
rimessione indicata in epigrafe;
8) dichiara non fondate le questioni di legittimita’
costituzionale dell’art. 16, comma 1, lettera b), del d.l. n. 98 del
2011, come specificato dall’art. 1, comma 1, lettera a), primo
periodo, del d.P.R. n. 122 del 2013, con riguardo alla limitazione
dei trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, del
trattamento accessorio, degli effetti economici delle progressioni di
carriera, dall’art. 1, comma 456, della legge n. 147 del 2013, con
riguardo alla limitazione dei trattamenti accessori, dall’art. 1,
comma 1, lettera c), primo periodo, del d.P.R. n. 122 del 2013, e
dall’art. 1, comma 453, della legge n. 147 del 2013, con riguardo
alla sospensione delle procedure contrattuali e negoziali per la
parte economica per il periodo 2013-2014, promosse, in riferimento
agli artt. 2, 3, primo comma, 36, primo comma, e 53, primo e secondo
comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Ravenna, in
funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza di rimessione
indicata in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 giugno 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2015.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI
Allegato:
Ordinanza letta all’udienza del 23 giugno 2015
ORDINANZA
Visti gli atti relativi al giudizio di legittimita’
costituzionale introdotto con ordinanza del Tribunale ordinario di
Roma, in funzione di giudice del lavoro, depositata il 27 novembre
2013 (n. 76 del Registro ordinanze 2014);
rilevato che, in tale giudizio, sono intervenute, con atto
d’intervento depositato il 6 giugno 2014, la Federazione GILDA-UNAMS
e, con atto d’intervento depositato il 10 giugno 2014, la
Confederazione indipendente sindacati europei (CSE) e la
Confederazione autonoma dei dirigenti, quadri e direttivi della
Pubblica amministrazione (CONFEDIR);
che i soggetti sopra indicati non sono stati parti nel giudizio a
quo;
che la costante giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, si
vedano le ordinanze allegate alle sentenze n. 37 del 2015, n. 162 del
2014, n. 231 del 2013, n. 272 del 2012 e n. 349 del 2007) e’ nel
senso che la partecipazione al giudizio di legittimita’
costituzionale e’ circoscritta, di norma, alle parti del giudizio a
quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso
di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale (artt. 3 e 4
delle Norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte
costituzionale);
che a tale disciplina e’ possibile derogare – senza venire in
contrasto con il carattere incidentale del giudizio di
costituzionalita’ – soltanto a favore di soggetti terzi, che siano
portatori di un interesse qualificato, immediatamente inerente al
rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente
regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di
censura;
che, pertanto, l’incidenza sulla posizione soggettiva
dell’interveniente non deve derivare, come per tutte le altre
situazioni sostanziali disciplinate dalla legge denunciata, dalla
pronuncia della Corte sulla legittimita’ costituzionale della legge
stessa, ma dall’immediato effetto che la pronuncia della Corte
produce sul rapporto sostanziale dedotto nel giudizio a quo;
che, nel giudizio da cui traggono origine le questioni di
legittimita’ costituzionale oggi in discussione, GILDA-UNAMS e
CONFEDIR non rivestono la posizione di terzo, legittimato a
partecipare al giudizio dinanzi a questa Corte;
che, infatti, GILDA-UNAMS e CONFEDIR sarebbero soltanto investite
dagli effetti riflessi della pronuncia di questa Corte, al pari degli
altri soggetti sindacali che si trovino in posizione analoga a quella
degli organismi (Federazione lavoratori pubblici-FLP e Federazione
italiana lavoratori pubblici-FIALP), che hanno promosso il giudizio a
quo;
che, inoltre, si tratta di soggetti sindacali che mancano di
qualsiasi collegamento con il rapporto sostanziale dedotto nel
giudizio a quo, concernente la stipulazione dei contratti applicati
al personale della Presidenza del Consiglio dei ministri e del
comparto ministeri e al personale degli enti pubblici non economici;
che, difatti, GILDA-UNAMS allega di essere organizzazione
sindacale maggiormente rappresentativa del diverso comparto della
scuola e CONFEDIR non ha dimostrato di aver partecipato alle stesse
procedure negoziali che hanno coinvolto i sindacati ricorrenti nel
giudizio principale (FLP e FIALP), avendo documentato di avere
sottoscritto il contratto collettivo nazionale del personale
dirigente per i diversi comparti delle Regioni e delle autonomie
locali (area II) e del servizio sanitario nazionale;
che deve ritenersi, per contro, ammissibile l’intervento di CSE,
organizzazione sindacale intercategoriale senza fini di lucro, alla
quale aderiscono FLP e FIALP, parti ricorrenti nel giudizio
principale;
che l’interveniente CSE ha sottoscritto, unitamente a FLP,
sindacato ricorrente nel giudizio principale, il contratto nazionale
di lavoro relativo al personale della Presidenza del Consiglio dei
ministri per il quadriennio 2006-2009 (biennio economico 2006-2007) e
il contratto collettivo relativo al medesimo comparto per il biennio
economico 2008-2009;
che, pertanto, CSE, in quanto organizzazione rappresentativa, ai
sensi dell’art. 43 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
(Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche), e firmataria della contrattazione
rilevante nel giudizio a quo, vanta un interesse qualificato, che si
differenzia rispetto all’interesse generale della piu’ vasta platea
delle organizzazioni sindacali;
che si configura, nella specie, un interesse direttamente
connesso con la posizione soggettiva dedotta in giudizio da FLP, in
considerazione dell’unitarieta’ della situazione sostanziale dei
sindacati ammessi alla medesima procedura di contrattazione
collettiva e firmatari del medesimo contratto.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibili gli interventi spiegati da GILDA-UNAMS
e CONFEDIR (Confederazione autonoma dei dirigenti, quadri e direttivi
della Pubblica amministrazione) nel giudizio di legittimita’
costituzionale di cui al numero 76 del Registro ordinanze 2014;
2) dichiara ammissibile, nel presente giudizio di
costituzionalita’, l’intervento di CSE (Confederazione indipendente
sindacati europei).
F.to: Alessandro Criscuolo, Presidente